venerdì 19 ottobre 2012

Clamorosissimo ritrovamento di un inedito di Dante Alighieri

Una nuova versione del Quinto Canto dell'Inpherno è stata ritrovata'a a Ravenna, dove il Sommo Poeta morì nel settembre 1321. Una scoperta destinata afare molto scalp'ore nel monto Hdemico. Eccovy inan teprima totale iltesto.


E così, dal primo refettorio
scesi giù nel secondo, ove
non si stringe mai la cinghia
stava in su la soglia il cameriere,
orribilmente e ringhia,
esamina i clienti nell'entrata,
giudica e manda ai tavoli
secondo che gli piglia.
Dico che quando l'anima affamata
viene a lui, ecco, tutta si confessa,
e quel conoscitor de le magnata
vede qual posto adatto sia per essa,
insulta quindi l'animaccia per 
quanto lontan vuol che lì sia messa.
"O tu che vieni a pranzo senza prenotare"
gridommi il camerier con cipiglio fiero
"Guardati di come entri, e di colui
di cui ti fide, non ti inganni
il profumo del mangiare!"
Ma il duca mio a lui: "Scusa,
di grazia, ma perchè rompi le palle?
Non impedir lo suo desinar fatale!
Vuolsi così colà dove si puote
ciò che si vuole, e adesso vai a cagare!"
Ora incominciano gli odori a farmisi
sentire, ora son venuto là dove i piatti
degustar si fanno, io venni proprio
dove la gente fa bisboccia, e sempre
mangia e rutta, ed alfin scureggia,
e sempre davanti gli vien servito
un piatto, e prendono su il tempo
e poi ti assegnano un punteggio.
E dopo un pò cerchi una latrina,
perchè lo stomaco si ribella
e vai di corpo fino alla mattina.
Io intesi che a così fatto tormento
erano dannati i peccator di ventre,
che la ragione sottomettono al talento,
e come le sirene che cantando
nuotano nel mare, lasciandosi dietro
una lunga riga, io vidi così apparir
nel refettorio dell'ombre portate
dalla detta briga, così che dissi:
"Maestro, ma chi son quei ciccioni
enormi, che l'aura nera così castiga?"
"Il primo di cui tu vuoi saper"
mi disse quelli allotta
"Fu governatore dalle molte favelle,
e a forza di magnamagna, la sua città
fu rovinata e rotta, tanto che l'EXPO
del 2015 dovettero annullare...
si chiamava Roberto Forchettoni,
tale pirla, che già dalla faccia
capisci ch'è una capra, come dice
Sgarbi. Poi vedi ancora un tal Fiorito,
che giù nel Lazio di peso strabordava,
e vedi ancora il sommo capo di ognun 
di questi, tale Silvio Budelloni, che
alla testa di costoro beveva e ingurgitava.
Poscia tu vedi Ruby, regina d'Egitto,
per cui tanto tempo si volse reo,
e vedi anche Di Pietro, magistrato
rotondo di forme, e manicheo.
Ancor tu vedi Romino Prodi, 
e Peppe Brullo, e Minimo D'Alemah, 
e poi ancora il giuovane Fussino,
e Walter Bidoni, il fondatore del partito,
e mille ed ancora più mille, furon
le ombre che mostrommi e nominommi 
a dito, che per amor di ventre loro
da questa nostra vita infine dipartille.
Poscia ch'ebbi il mio dottore udito
nomar tutti sti magnoni e puttanieri,
pietà mi giunse e fui quasi smarrito.
E cominciai: "Poeta, volentieri
parlerei a quei due grassoni
che volano in ciel, e pajono
al vento così leggeri". Ed egli
a me: "Vedrai tra poco, quando
saranno ancora più pesanti,
e ci cadranno ai piedi sfondando
il suolo, ed allora sarà più facile parlargli"
Così non appena il vento voltar
il fece, mossi la voce: "Salute a voi,
si fa per dire, o panzoni esagerati.
Deh, vi prego, venite un poco giù
da noi, che vi dobbiam parlare"
E così i due cominciaron la discesa,
sì lentamente che potei notar che
uno dei due in realtà era un'obesa.
"Senti mò" mi disse il maschio
"Io lo so che sei qui per pigliarci
per il culo, ma soddisfazione non ti dò,
anzi ti spiego perchè noi due insieme
nel vento andiamo senza scopo
tutto il santo giorno avanti e indietro.
Noi eravamo cuochi, e assaj provetti,
lavoravamo da Roberto di Bellaria,
specialità persce azzurro e spigole
nostrane, ma un brutto giorno
Roberto volle smettere col pesce
e solo con carne grassa di majale
farci lavorare. E il majale, ahimè,
che a nulla amato amar perdona,
ci fece gonfiar la pancia così in fretta,
che come vedi ancor non ci abbandona.
Il grasso di majale, insomma, ci portò
così alla morte. Maledetto sia però
Roberto, che decise così la nostra sorte.
Queste parole da loro ci furon porte.
Quand'io intesi quelle anime così incazzate
nere, chinai lo sguardo verso terra,
e tanto a lungo lo tenni giù, che il Duca mio
esclamò: "O Dante, ma che, stai bene?"
Ed io risposi: "Ahimè... o lasso!
Quanto dolor dovettero provar
costoro a cucinar tutto quel grasso!"
Poi mi rivolsi a lei, e le dissi:
"Francesca, ma perchè non vi siete
licenziati? Se eravate così bravi, bastava
un annuncio su La Pulce di Forlì/Cesena
e forse tutto si aggiustava"
Ed ella a me: "Nessun maggior dolore
di ricordarsi nel digiuno di quando
si mangiava tanto e bene, e ciò lo
sa il tuo Dottore. Ma se a conoscere
la radice delle nostre sfighe tu hai
cotanto affetto, allora ti dirò,
come colei che piange e dice.
Noi leggevamo un giorno per diletto
le ricette dell'Artusi, soli eravamo 
in cucina noi, e senza alcun sospetto.
Per più fiate la lettura ci sospinse
la ricetta del gambero in salmì,
ma solo un punto fu quello che
ci vinse: quando giungemmo 
alla sezione del riso Basmati,
capimmo di aver sbagliato tutto,
e così ci siamo presi e bastonati.
Galeotto fu il libro di cucina
e chi lo scrisse: da quel giorno,
per punizion divina, in questo 
luogo siam reclusi e confinati".
E mentre che l'uno spirito questo disse,
l'altro piangeva, sì, che di pietade
io venni men così com'io morisse,
e caddi, come corpo a digiuno cade.

Nessun commento:

Posta un commento